Sul parlare male del Commercialista e altre quisquiglie
Quando avevo vent’anni, fui bocciato all’esame scritto di ragioneria 1.
Per me, che avevo ottime votazion in tutte le materie, fu un piccolo trauma. Consideravo quella materia un po’ la mia bestia nera – ora posso raccontarlo, con un sorriso – perché venivo dal liceo classico, e i programmi universitari di allora davano per scontate conoscenze che non avevo. Un po’ perché ero già allora un testardo, un po’ per vigliaccheria, studiai un anno intero quella materia, perché volevo ridarla superando l’esame non per il rotto della cuffia, ma per merito. Dio solo sa quanto la studiai, per un intero anno, ripeto.
All’esame scritto dell’anno seguente, superai la prova di redazione di un bilancio consolidato con il miglior voto della sessione: ventotto. Quando mi presentai all’orale, quella mattina il professore, che era anche il decano della Facoltà di Economia, il prof. Ferdinando Superti Furga, era di pessimo umore. Sta di fatto che, per tutta la mattina, si susseguirono bocciature agli orali. Si sparse questa voce con terrore tra gli studenti, cosicché in molti stavano rinunciando a presentarsi. Venne il mio turno, e per un istante pensai di farlo pure io, ma poi entrai quando mi chiamarono nell’aula affollata.
Finì con un trenta e lode, e la stretta di mano dell’anziano professore, nello stupore generale.
Quando uscii dall’aula, gremita di altri in attesa di tentare la difficile prova, vi era un capannello di studenti che stavano sparlando di qualcuno. Capii in pochi secondi che parlavano di un voto d’esame, palesemente incomprensibile. Vi era chi diceva che lo studente di certo aveva comperato l’esame e chi raccontava che i due (lo studente e il professore) avevano conversato per una mezz’ora di qualcosa del tutto fuori programma. Mi aggiunsi al capannello degli sconosciuti, e con entusiasmo sostenni quelle tesi, argomentando che quello non sapeva assolutamente un cazzo di ragioneria, e che aveva menato il can per l’aia parlando di una roba assurda, fuori programma. Avrebbe meritato di essere bocciato più di tanti altri, sentenziai, al termine della mia pubblica accusa. Tutti, ragazzi e ragazze, annuirono con enfasi e li lasciai continuare a sparlare dello studente immeritevole. Naturalmente, ero io l’oggetto della loro accesa discussione e la cosa fuori programma di cui avevo argomentato era il mito della caverna di Platone.
Il mito della caverna di Platone
Se non lo conoscete, non starò certo qui a raccontarlo, poiché con una fugace ricerca su qualsiasi motore di ricerca potreste facilmente recuperarne la conoscenza. Semmai, è tema che non di rado ripeto nel mio corso ai commercialisti, perché quella metafora spiega la mia difficoltà di far vedere loro le cose in modo diverso.
Chiunque tenti di liberare chi è mentalmente imprigionato alle proprie catene e vede una realtà fittizia, dopo lungo tempo di prigionia, tenta di uccidere chiunque osi anche solo di fargli vedere le cose in modo diverso.
Io ho scritto molte volte del fatto che il Commercialista di oggi – professione non nuova, poiché potrei citarvi le espressioni dell’antica grecia che già ne attestavano l’esistenza – ha perso gran parte del proprio splendore, per ragioni esogene che non vale la pena accennare. Le sapete meglio di me, e non voglio offendere la vostra intelligenza a rimembrar cose già note. Che sia ingiusto ciò che vi è capitato, è un fatto. Che vogliate, in molti, non accettarlo, altrettanto.
Di qui, l’umana reazione di demonizzare chi abbia anche solo il coraggio di dire che la luce non è quella di una candela su un muro, ma del sole al di fuori di quella prigione. Solo che gli schiavi non si limitano, talora, a demonizzare chi tenti di far loro vedere in modo diverso le cose. Per continuare a sopravvivere, mentre sparlano pubblicamente di costui, non si peritano di parlar male – in privato, naturalmente – dei propri colleghi, di fregarsi a vicenda consulenze, e ci sono alcuni commercialisti che venderebbero la propria madre, per difendere il proprio orticello, fatto di contabilità.
Quella stessa contabilità per la quale presi, meritatamente, un bel voto e dalla quale per volere del destino – al quale, certamente, non manca il senso dell’ironia – non trassi mai lucro in alcun modo, nella mia vita professionale.
La morte del Commercialista
Anni fa, il titolista della redazione economia della rivista Panorama intitolò qualcosa del tipo “La morte del Commercialista”, per commentare un mio pezzo.
Naturalmente, io stavo semplicemente argomentando, come esperto di strategia, della curva del ciclo di vita di un prodotto, che come tutti sanno può volgere al declino, per poi rinnovarsi – a differenza del ciclo della vita umana – in qualcosa di diverso. Ma un articolo tecnico non fa vendere i giornali, come ben sanno i giornalisti, e certamente un titolo di effetto mi fece ricevere un buon numero di insulti di donne e uomini che mi scrissero, letteralmente, che mi odiavano perché io stavo augurando loro la morte.
Come vedete, non sono persona che rinuncia a dir ciò che pensa, e confermo ancora oggi la mia convizione di allora, semmai confermata da una serie di avvenimenti successivi, dagli improvvidi provvedimenti governativi alle spietate logiche delle multinazionali che stanno invadendo con concorrenza sleale la vostra professione, per cui ritengo a maggior ragione che una professione nata sulle ceneri di una riforma del 1973, a distanza di quasi mezzo secolo, sia un prodotto maturo, destinato ad evolversi. Se questa affermazione offende a morte qualcuno di voi, timoroso di affrontare tale cambiamento, non mi condurrà a ritrattare le mie opinioni. Semmai, val la pena parlar della morte, e dello sparlare dei (presunti) rivali, per poi trattare invece del tema che più mi appassiona; l’amizia e la correlata felicità.
Sullo sparlare dei rivali
Epicuro era odiato da molti colleghi.
I suoi nemici fecero circolare a suo nome delle lettere. In esse si leggeva di Etere, cioè donne galanti dai vezzosi nomignoli quali Leonzio (piccola leonessa), Mammario (piccolo seno), Erozio (amoruccio) o Boidio (piccola mucca). Tali lettere – per quanto ci è dato di sapere presumibilmente autentiche – ritraevano il nostro Epicuro come persona che si intratteneva con queste generose Signore non propriamente per parlare di filosofia. Eppure, quasi un millennio dopo il severo Agostino lo avrebbe addirittura scelto come proprio maestro, se non fosse passato per la terra un tale Gesù. Il Vangelo epicureo, nato soltanto sette anni dopo quel Platone di cui accennai sopra, rinnegava la teoria di questi dei due mondi, come il mito della scissione dell’uomo in due metà contrapposte. Sarà forse per questo che Agostino, il severo padre della Chiesa, “avrebbe dato il palmo della vittoria a Epicuro, se non fosse venuto il Cristo”.
Perfino il mite umanista Erasmo da Rotterdam si spinse oltre, affermando che il vero cristiano è “il vero epicureo”.
Ma allora, parliamo della stessa persona, dileggiata ai tempi dei contemporanei?
Sulla morte
Se inveve volete proprio affrontare la mia opinione sulla morte della vostra professione, per come oggi la conosciamo, direi che potete stare relativamente tranquilli, stando il fatto che, ripeto, era già nota ai tempi degli antichi Greci e – vi assicuro – tenuta in maggior consiglio e rispetto di quanto abbiano dimostrato tutti i recenti governi, nessuno escluso. Ma, dato che la mia opinione potrebbe non interessarvi, poiché vedo la paura nei vostri occhi – e so che è questa, sovente, a muovere la lingua degli uomini, davanti a qualsiasi esame, ben più serio di uno universitario – vi lascio alle parole immense di Epicuro.
“Il più orribile dei mali, la morte, non è dunque nulla per noi; poiché quando siamo noi la morte non c’è, e quando c’è la morte, allora noi non siamo, più. E così essa nulla importa, né ai vivi, né ai morti, perché in quelli non c’è questi non sono più. Invece, la maggior parte ora fugge la morte come il peggior male, ora la desidera come reliquie ai mali della vita. Ma il saggio non ricusa né la vita, né accusa la morte; perché la vita non è per lui un male, né crede un male non più vivere. Ma come dei cibi non preferite senz’altro i più abbondanti, ma i più gradevoli; così non il tempo più durevole, ma il più piacevole, gli è dolce frutto.”
Il tempo.
Ecco, la parola magica del mio progetto. Lavoro da oltre vent’anni con tanti commercialisti amici, e non ne conosco uno che, in confidenza, non mi racconti di quanto darebbe per avere il tempo di vivere la propria vita, i propri affetti, i propri sogni, invece di adempiere, senza scadenza, a continui ademimenti scelti da altri. Mi viene in mente, al riguardo, la battuta fatta dire dal regista Sergio Leone all’attore Robert De Niro in uno dei più bei film della storia del cinema: C’era una volta in America. Cosa hai fatto negli ultimi trent’anni? Sono andato a letto presto.
Sulla amicizia e sulla felicità
Secondo il tanto biasimato e dileggiato Epicuro, soltanto uno stato d’animo sereno, quando l’animo è come un mare tranquillo e “ogni tempesta si è placata” merita di essere definito felicità. Il mio progetto, del quale alcuni sparlano senza avermi mai parlato per condividerne le ragioni, non è tanto quello di trasferire conoscenze e strumenti professionali della mia materia, i finanziamenti d’azienda, cioè una nicchia della finanza aziendale, quanto quella di applicarli insieme, in una rete professionale. I tanti commercialisti che hanno calcato le mie aule ricercano, come insegna un altro filosofo, Severino Boezio, proprio questa cosa: la felicità.
Per trovare questo bene, che secondo questo filosofo cristiano è quello sommo, come lo era per il suo collega pagano, l’amicizia è fondamentale. Capisco che anche questo possa sembrare andar fuori tema, rispetto ad altri articoli tecnici nei quali parlo di rating, modelli di analisi finanziaria o valutazione d’investimenti o d’azienda. Se però avrete la bontà di attendere un attimo, vedrete invece la connessione con la vita professionale prevista nel mio progetto.
Molti commercialisti che hanno frequentato le mie aule hanno sviluppato un sentimento direttamente opposto a quella cultura di odio, sospetto reciproco, sparlare dei colleghi e tendenzialmente fregarsi i clienti. Certo, ora direte che parlo male di una categoria; esattamente come Epicuro diceva le cose come stanno, ed era a sua volta diffamato. Tantissimi commercialisti che io vedo, ogni mese, da anni, nelle mie aule, hanno sviluppato invece un sentimento di stima e profondo rispetto reciproco, non di rado sfociato in sincere, durature e profonde amicizie, sia con me, sia con i loro colleghi.
Non perderò quindi tempo a confutare accuse ridicole.
Cosa dovrei raccontarvi? Delle tante esperienze umane che ho avuto con tanti amici e carissime amiche? Di cosa vorreste che vi narrassi? Delle notti passate insieme a risolvere problemi per i clienti oppure delle grigliate, delle cene, delle amabili chiacchierate, condite da momenti di sana e profonda amicizia, libera dagli affanni?
Certo, in questo vi è anche una reciproca utilità; tra me e loro, come tra loro come colleghi.
Del resto, è ancora Epicuro – mi sta simpatico, perché anche lui fu vituperato, come avrete capito – a scrivere dell’amicizia:
“Ogni amicizia è di per sì desiderabile, ma si iniziò dall’utile.”
Cicerone, che lo aveva studiato bene, al riguardo commenta sul tema dell’amicizia:
“Al riguardo, invece, Epicuro afferma che di tutte le cose che la saggezza ha indicato per una vita beata, non c’è niente di più grande, ricco e piacevole dell’amicizia. Ha dimostrato questo non solo con la sua teoria, ma ancor di più con le sue azioni, la sua vita e il suo modo di vivere.”
Quando io scrivevo su Panorama del ciclo di vita di una professione, trattavo – inter alia – del tema della solitudine. Non mi si dica che il Commercialista, oggi, non si senta solo, perché io raccolgo quotidianamente storie difformi da questa. Far parte di una rete, di un gruppo unito da un idem sentire, di una cerchia di esseri umani che condivide profondi valori etici e li pratica quotidianamente, è il cuore del mio progetto. Quindi, certamente esiste un tornaconto monetario, poiché stiamo parlando di vita professionale comune, e umanamente odio l’ipocrisia.
Tuttavia, riconosco che ciò che spinge molti di noi è il desiderio di affrontare il cambiamento, che molti autori di strategia – tra i quali Henry Mitzberg – scrivono essere la cifra del nuovo decennio che si sta aprendo, in modo unito, coeso e compatto, legati da solide basi.
Scrive ancora Cicerone, al riguardo:
“Perché la solitudine e la vita senza amici è piena di minacce e di paure, così la ragione stessa raccomanda di farsi delle amicizie; se le possediamo, l’animo diventa più saldo e non si distacca dalla speranza di nuove sensazioni di piacere”.
Piacere e amicizia, due temi epicurei strettamente legati.
Non posso allora non ricordare il pensiero originario di Epicuro, perché è uno dei fondamenti della mia scuola.
“Amico non è chi cerca sempre l’utile, né chi mai lo congiunge all’amicizia; perché l’uno scambia il beneficio con il compenso, l’altro recide la fiduciosa speranza per l’avvenire.”
Discuto di idee, non di persone
Se l’accusa di parlar male dei commercialisti è motivata dalle mie critiche a uno stato d’essere di una professione millenaria, che impone nuovi cambiamenti, allora considero la critica inesistente.
Infatti, io discuto sempre delle idee, mai delle persone.
Sono orgoglioso di avere avuto il privilegio, nella mia vita, di condividere la mia vita professionale con tanti amici commercialisti, uomini e donne, al punto che in taluni casi mi è oggettivamente difficile scindere il lato professionale da quello intimo e personale. Per chi, come me, parla di economia umanistica, il lato umano del nostro lavoro è vitale. Del resto, credo che il termine stesso di “libero professionista” sia vitale in quell’aggettivo, libero, che mi ha sempre condotto nella mia vita, non solo lavorativa. Il privilegio di circondarsi di persone che ci piacciono, delle quali abbiamo stima, anche per fare affari insieme, è consentito a pochi, e dura è la strada per arrivare a tale stato di grazia.
Quando tuttavia per sorte vi si arriva, non senza travagli e fatiche, che altri dileggiano per inscipienza e invidia, allora si raggiunge quella che Boezio ritiene il fine ultimo dell’uomo: la felicità.
Io provo indicibile gratitudine all’ascoltare le parole che le donne e gli uomini che davvero mi conoscono dicono di me, e mi auguro che alcuni di loro possano, un giorno, accogliermi non solo come loro maestro o collega, ma come amico, come già tanti loro colleghi hanno fatto in passato.
Per meglio chiarire tuttavia la mia risposta ai tanti che invece ancora non mi conoscono, vi lascio con una frase del tanto odiato e vituperato Epicuro, che sul letto di morte, scriveva all’amico Idomeneo:
“L’amicizia tutt’intorno trascorre la terra, lanciando a tutti noi l’appello di destarci all’encomio della felicità.”
Conclusioni
Dotare il nostro studio professionale di modelli di analisi finanziaria consente al Commercialista di usare questa diversa logica.
La ragione essenziale per cui dovrebbe farlo è di tipo sia culturale, sia pratico. Dal punto di vista culturale, tale riscrittura consente di apprezzare al meglio la dinamica di impresa, anche – rectius, soprattutto – in logica ex ante.
Si tratta, in altri termini, di un’azione necessaria alla consulenza evoluta, e quindi destinata in primis al nostro cliente (a prescindere dalle sue necessità finanziarie). In secundis, sul piano pratico, è essenziale alla fine del dialogo con il sistema bancario, poiché consente di individuare prontamente indicatori, quali il citato leverage (finanziario), che sarebbe arduo determinare dalla lettura del bilancio classico. Poiché tale analisi è quella effettuata dal portatore di capitale terzo, sia esso a titolo di rischio, di debito o ibrido, allora dal punto di vista pratico significa consentire all’impresa di meglio discutere con il sistema finanziario, che segue tali logiche internazionali.
A mio modo di vedere, il Commercialista è il naturale depositario di questo bagaglio informativo e gode, in pectore, di una posizione dominante che, in una matrice delle cinque forze di Michael Porter, potrebbe consentirgli di erigere delle significative entry barriers. Mi riferisco non solo ai potential entrants (potenziali entranti), ma anche ai numerosi substitutes (sostituti).
La principale barriera all’ingresso rispetto ai numerosi recenti attacchi alla professione del Commercialista, così bene pianificati sul piano marketing, è data da un fattore chiave, nella mia analisi strategica: il knowledge. La conoscenza, infatti, è il principale ostacolo (entry barrier) alla concorrenza, e consente al Commercialista – che ha certamente tra i suoi punti di forza la capacità e la disponibilità allo studio rigoroso e continuo – di erigere forti barriere all’ingresso per i concorrenti e di acquisire posizioni dominanti nel mercato della consulenza dei prossimi anni.