Il Commercialista e la teoria del bilancio del pensiero
Michael Jacobides, professore di Strategia alla London Business School, ritiene che le imprese possano ridefinire il proprio tessuto industriale, cioè cambiare il proprio mercato a loro vantaggio.
Quando parla di imprese, Jacobides precisa che anche le più piccole – aggiungo io, anche uno studio professionale – hanno, potenzialmente, questa capacità; modificare il proprio mercato di riferimento.
Così facendo, si acquista quello che egli definisce un vantaggio architetturale.
Antefatto
L’altro giorno ero al telefono con una persona che ha frequentato il mio corso MasterBANK, un Commercialista.
Si lamentava del fatto che manca sempre il tempo di fare le cose; aveva trascorso il week end a scrivere perizie, non aveva mai un minuto per sé, dovendo rispondere alle scadenze, alle urgenze, alle esigenze dei clienti, alle follie di un folle burocrate.
In una frase: “non è più vita, questa!”.
Alla mia domanda: “E perché non pensi a come cambiarla?”, la sua risposta, di getto, è stata: “Guarda, perché non ho nemmeno il tempo per pensare!”.
La riposta che diceva che non si ha più nemmeno il tempo per pensare mi ha fatto pensare.
Strategia e finanza
Ieri pomeriggio facevo lezione di strategia in una Università romana, e osservavo ai miei studenti che, mediamente, le persone giovani trovano più importanti le cose apparentemente più difficili.
Quando io vado alla lavagna, in qualsiasi corso, e scrivo una formula di finanza, la gente pensa che quella cosa sia difficile, quindi importante.
Se vado alla medesima lavagna e scrivo, come ieri pomeriggio ho fatto: “trovate il tempo”, qualcuno sorride, come se fosse cosa banale.
Tale singolare meccanismo del pensiero umano è confermato anche nei corsi privati che tengo per liberi professionisti affermati, i quali vogliono collaborare con me nel nostro progetto nazionale di consulenza.
Per i Commercialisti, miei tipici allievi di aula, se non ci sono formule, bilanci, scritture contabili, equazioni, formule in Excel, non è una cosa “pratica”.
Insomma, appare ad alcuni, specialmente a quelli che si imbattono per la prima volta nel tema della strategia, una cosa banale, quindi poco importante.
Connessione delle reti
In realtà, ciò che ai miei occhi, dopo molti anni, appare come veramente importante, non sono le materie in sé, ma le relazioni con le persone.
Questa mattina, dopo una puntata in una radio/televisione, sarò in un’altra Università romana e incontrerò a pranzo e poi nel pomeriggio il Magnifico Rettore, Prof. F. Rojas Aravena, che, arrivando dal Costa Rica, incontrerà la nostra delegazione di Roma, guidata dal Presidente della sede del Mediterraneo dell’Università Internazionale per la Pace presso le Nazioni Unite, Prof. Ing. Gianni Cara.
Se ci penso, e mi pongo umilmente la domanda: “ma io, come sono capitato qui?”, la risposta è una sola: “pensando”.
Il bilancio del pensiero
Dato che sto scrivendo a persone di studio, Commercialisti, conoscendo la loro ritrosia verso temi che non prevedano una schematizzazione, ho sviluppato una mia teoria per illustrare il concetto.
Come noto ai miei allievi, in finanza, una delle prime, niente affatto banali, attività, è quella di riscrivere il bilancio, nella parte dello Stato Patrimoniale.
Tale documento, che in inglese si chiama Balance Sheet, è rappresentato nelle logiche di rating anglosassone come un foglio a sezioni contrapposte, molto più semplice della versione da noi comunemente utilizzata. Esso ha la seguente forma, in quattro quadranti.
Fig. 1 – bilancio aziendale in quattro quadranti
ASSETS | LIABILITIES AND EQUITY |
Net working capital | Debt |
Net fixed assets | Equity |
Total assets | Total funding |
Come noto, il totale delle fonti (funding) deve quadrare per definizione con il totale degli impieghi (assets).
Un altro modo, comunemente usato nelle lezioni di finanza, per illustrare lo Stato del patrimonio, è quello di descrivere la colonna in dare come “beni” e la colonna avere come “diritti”. In altri termini, gli assets sono i beni di proprietà dell’impresa, nei quali abbiamo investito i denari, cioè i capitali raccolti.
Al contrario, le liabilities contengono i diritti vantati su quei beni, e in logica finanziaria questi possono essere vantati solo da soggetti finanziari interni (sharehoders), oppure esterni (banche e capitale di debito finanziario in genere).
Se lasciamo perdere per un istante la distinzione (utile ad altri fini) tra capitale circolante netto e investito fisso, possiamo ben sintetizzare dicendo che la colonna dare contiene, in fondo, solo dei beni. Poco importa di quale genere, per quale durata, e via discorrendo. Allora, possiamo riscrivere la fig. 1 nella seguente.
Fig. 2 – bilancio aziendale in tre quadranti
ASSETS | LIABILITIES AND EQUITY |
Assets | Debt & Equity |
Total assets | Total funding |
Ora, si potrà convenire che sia possibile intendere anche la nostra vita personale in chiave di bilancio.
Penso che ognuno di noi lo abbia fatto, almeno una volta nella propria vita.
Seguendo lo stesso schema di pensiero al quale tanto bene siete avvezzi, immaginate che i vostri asset siano, come del resto in una azienda, sia materiali, sia immateriali.
Non sta a me dirvi cosa possano essere, ma immagino che sia intuibile che saranno del primo tipo le cose fisiche che possedete, mentre le seconde siano quelle non fisiche.
Cionondimeno, ritengo conveniate che anche le seconde abbiano un preciso valore, più o meno alto in funzione di criteri di valutazione che ognuno di noi può ad esse assegnare.
Dall’altro lato, ci sono i diritti vantati su quei beni.
Qui, si registra una profonda differenza rispetto al caso aziendale, perché nella nostra vita non ci sono debiti verso soggetti finanziatori esterni (anche se, in un certo senso, si può diversamente argomentare, per esempio pensando ai nostri genitori, talora defunti).
Mi riferisco al fatto che gli unici che vantano diritti sulla nostra vita siamo noi stessi. Credo si possa convenire su questa semplificazione della realtà.
Ergo, solo di Equity possiamo parlare nel bilancio della nostra vita, cioè solo di nostro capitale proprio. Ma, dato che stiamo metaforicamente parlando di qualcosa di profondamente diverso da un bilancio reale, possiamo forse ritenere che quell’Equity siano soldi?
Nulla di ciò che farò oggi, in termini di relazioni umane, è stato da me comprato coi soldi; non sarebbe stato possibile. Se conveniamo sul fatto che la nostra vita sia essenzialmente un intrecciarsi molto complesso di relazioni umane, e se riteniamo che i nostri beni (tangibili e intangibili) siano in qualche modo legati a quel primo fattore, se ne deve concludere che ciò che realizza tali beni in dare sia qualcosa di molto più prezioso del denaro, in avere.
Si chiama pensiero.
Possiamo allora riscrivere la figura 2 nella seguente.
Fig. 3 – bilancio personale in 3 quadranti
P & D | T |
Planning and doing | Thinking |
Total assets | Total funding |
Il totale del pensiero raccolto è sempre uguale, per definizione, al totale del pensiero investito. Tale pensiero, investito, porta a beni tangibili e intangibili nel bilancio della vita reale. Nel bilancio energetico del nostro pensiero, il pensiero investito si compone di due attività umane:
- Il pianificare
- L’agire
Molte persone pensano, ingenuamente, che pianificare sia sinonimo di pensare.
Al contrario, fissare gli appuntamenti sull’agenda, ricevere clienti, andare ad altri appuntamenti e passare la notte a scrivere perizie non è affatto pensare.
Quella è la sfera delle attività, del dare; è la sfera dei nostri beni, tangibili e intangibili, creati dalla pianificazione delle attività e dalle attività stesse.
Qui, seguendo tale ragionamento, si giunge alla parte essenziale della mia teoria.
Possiamo spendere il nostro tempo, che per definizione non può essere “non speso”, in qualsiasi attività, compreso il non fare assolutamente nulla.
Per molti, l’otium latino, difficilmente traducibile, è una perdita di tempo. In effetti, non stiamo né producendo attività, né pianificando attività.
Se cercate una traduzione inglese del termine “otium”, ozio, probabilmente troverete “disoccupato”.
Questo ci dà una misura della crassa ignoranza del mondo anglosassone verso la nostra antica e millenaria cultura.
L’errore sta nel fatto di considerare il tempo non speso in attività di pianificazione e di azione come tempo buttato via. Al contrario quello si chiama pensare. Per pensare, occorre essere in uno stato di grazia, libero dagli affanni, nel quale ci si fermi e si raccolgano le proprie idee: il proprio Equity.
Solo aumentando il proprio capitale, si potrà, a pareggio, aumentare l’altro lato della nostra vita, il dare, le attività.
Ma, per produrre quelle idee, che sono il nostro capitale, è essenziale investire del nostro tempo, compreso forse quello impiegato per leggere questa teoria, e riconoscere che non sia tempo buttato, ma tempo investito nella cosa più importante; la creazione del nostro capitale umano.
Solo così, ritagliando tempo per noi stessi, dedicando parte della nostra vita a pensare alla nostra vita, possiamo creare quelle idee che, investite, nel tempo stesso la cambiano.
Ecco perché, oggi, io sono qui, a Roma, a fare cose che mi piacciono; perché ho trovato tempo per pensare.
Conclusioni
Questo articolo contiene una teoria di bilancio del pensiero che, oltre che essere originale, è probabilmente molto diversa, in termini di linguaggio, da quello usato in altri articoli, in cui tratto di finanza.
La ragione è che questo articolo tratta di strategia, che è materia superiore alla finanza, in quanto a complessità, non tanto nella comprensione, ma nella attuazione pratica.
Di qui, la considerazione che siano ragionamenti meramente teorici appare priva di fondamento. La difficoltà non consiste nella comprensione teorica, quanto nella sua applicazione nella vita reale.
Mi sto interrogando con un certo scetticismo sul fatto di proporre ai “miei” allievi, Commercialisti affermati, un percorso altamente evoluto ed esclusivo su questi temi, solo apparentemente teorici.
Temo che molti di loro mi possano rispondere; “avessi il tempo, lo farei” (per tutti gli altri c’è il corso MasterBANK),