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Come deve fare un Commercialista il Business Plan per una Start Up

Spesso succede che un Commercialista si senta chiedere da un suo cliente: “Dottore, la banca mi ha chiesto un business plan, potrebbe buttar giù due numeri?”.
E non sono rari i casi in cui, a presentazione di una parcella (oggi elettronica) si senta anche dire: “Ah, perché, chiede anche di essere pagato? Ma io la pago già per tenere la contabilità!”.

Questo, a grandi linee e con talune varianti (mi faccia lo sconto), è il dialogo medio tra imprenditore e Commercialista quando si costituisce l’azienda.

Al contrario, si devono scindere necessariamente vari momenti, ed il primo è la costruzione del piano nella parte descrittiva e, nelle fondamenta, di quello economico: tale lavoro è, obbligatoriamente, compito dell’imprenditore, e quindi ti elenco una serie di importanti consigli:

CONSIGLIO NUMERO 1

Il primo consiglio è quello di rappresentare all’imprenditore le modalità di costruzione del documento nella parte descrittiva e di fornirgli gli strumenti operativi atti a svolgere autonomamente il proprio lavoro, sotto la nostra supervisione. Se pensate che l’imprenditore, già che ci paga, si rifiuti di svolgere in prima persona questa parte di lavoro, sarà meglio che cambiate lavoro oppure – più proficuamente – che cambiate cliente.

Non conosco nessun imprenditore vero che non si appassioni allo sviluppo del proprio business plan, a condizione che gli si forniscano gli elementi atti a comporre la parte descrittiva (argomento che sarà oggetto di altro articolo) e quelli per comporre gli elementi minimi di valutazione del proprio caso aziendale.

Quindi il primo consiglio è quello di fornire all’imprenditore una struttura standard di costruzione della parte descrittiva, per 2 ragioni:

  1. Perché, a differenza di quanto pensano i non esperti in materia, essa è importante almeno quanto quella numerica
  2. Perché è quella che, opportunamente strutturata, è quella che spiega, argomenta, motiva e commenta i numeri, che altrimenti sarebbero un esercizio meccanico privo di valore probatorio.

A questo si aggiunga un secondo consiglio metodologico e operativo.

CONSIGLIO NUMERO 2

Il secondo consiglio, nel vostro interesse, è quello di fornire al cliente imprenditore elementi quantitativi minimi e automatizzati, di vostra produzione, atti a consentirgli di giocare coi propri numeri, per scrivere un piano di start up.
Il secondo consiglio è la diretta conseguenza del primo. Se vogliamo ricevere dal cliente i numeri di base, opportunamente elaborati, al fine di potere poi sviluppare successive e più approfondite analisi tecniche, atte a produrre stati patrimoniali, conti economici, flussi di cassa e indici, dobbiamo prima effettuare due operazioni logiche:

  1. Fornire all’imprenditore un tool, automatico, il quale opportunamente agganciato ai suoi budget gli consenta di produrre elementi minimi di valutazione economica (almeno fino al livello di EBITDA)
  2. Chiedergli di fornirci un data entry di dati da inserire in un formato standard che si agganci ai nostri modelli, decisamente più evoluti e complessi.

Quanto alla prima operazione, essa serve alla finalità di guidarlo nella elaborazione del proprio sviluppo di progetto numerico, dandogli schemi di lavoro semplici, facili da compilare e al contempo efficaci e performanti.
Quanto alla seconda operazione, essa ha il fine di restituirci un sistema di value driver di informazioni, opportunamente codificate, per consentire a noi consulenti di minimizzare e tendenzialmente azzerare l’aleatorietà e la difformità di stesura dei dati. Un modello standardizzato ha l’enorme pregio di facilitarci il lavoro di successiva costruzione del business plan, sulla base delle informazioni ricevute dall’imprenditore.

Perché l’imprenditore dovrebbe fare questo lavoro?

Questa è la domanda tipica, nonché l’obiezione più classica avanzata dal commercialista, quando sostengo questa impostazione nel rapporto di consulenza. Mi si obietta: dato che l’imprenditore mi paga per farlo, pretenderà che sia io a lavorare, dato che lui non ha tempo perché deve fare altro.
Al che la mia contro obiezione è: perché, esiste qualcos’altro di più importante per un imprenditore che prevedere il proprio futuro?

A dire il vero, non conosco imprenditore di aziende strutturate che non dedichi sistematicamente considerevole parte del proprio tempo direzionale a immaginare il futuro della propria azienda. Così stando le cose per le aziende esistenti sul mercato in fase di maturità, non si comprende per quale ragione dovrebbe essere, la pianificazione dell’azienda, attività disdicevole o negletta dall’imprenditore in start up. Sicché, è piuttosto un fatto culturale.
Supposto che il fatto culturale sia superato, rimane solo l’ostacolo tecnico, cioè la capacità di fare tale lavoro. Qui entra in gioco l’esistenza o meno di una procedura codificata tra consulente e candidato neo imprenditore.

Si supponga di fornire all’imprenditore non solo un tool di sviluppo della propria idea, ma anche una spiegazione chiara di come redigere le azioni minimali che ogni imprenditore deve saper svolgere automaticamente. Tra esse, certamente sono da riconoscere i seguenti budget:

  • Vendite
  • Costi fissi
  • Costi variabili
  • Investimenti
  • Forza lavoro

Ciò posto, non conosco imprenditore che, di fronte a strumenti di semplice applicazione non trovi interessante esaminare sul proprio computer un lavoro così autoprodotto, dal lato dell’analisi dei costi variabili:

Parimenti, un imprenditore trova interessante esaminare il risultato finale del proprio lavoro in termine di dinamica del budget dei costi fissi:

Parimenti, non esiste imprenditore che non consideri rilevante esaminare il risultato del proprio budget delle vendite, derivante dalle proprie personali stime:

Non conosco nessun imprenditore che non consideri interessante comprendere la strutturazione di sintesi del proprio investimento:

Certo, bisogna fornire all’imprenditore modelli autocompilanti, in grado di fornire risposte chiare ed esplicite alle varie parti del lavoro di budgeting, consentendo di comprendere come una singola voce di costo o di ricavi sia determinata.

Per esempio, nella tabella successiva si spiega come viene calcolata una singola voce del budget; nel caso in specie, i servizi.

Naturalmente, il modello che noi forniremo all’imprenditore restituirà i risultati in automatico, senza alcun onere da parte sua aggiuntivo, rispetto a quello di dover fornire le informazioni necessarie a sviluppare i calcoli. Ma può secondo voi un imprenditore vero non sapere quante persone servano al proprio business – per esempio – e stimare un costo indicativo del personale?

Conclusione

Ma davvero voi credete che un imprenditore non sia interessato a lavorare sul proprio computer in merito a queste informazioni?
Per la mia esperienza professionale, non è interessato soltanto uno sprovveduto, cioè uno che, nel suo e vostro interesse, sarebbe meglio non diventi mai un imprenditore vero.

Chiunque altro, al contrario, si appassionerà, letteralmente, a questi numeri, e si divertirà, alla fine, a veder nascere sul proprio computer il proprio break even e a stimare il proprio livello di costi fissi e variabili della propria azienda. Credetemi, non stiamo parlando di persone con particolari competenze in materia, né dotate di particolari conoscenze tecniche o attitudini. Semmai, parliamo di altro.

Parliamo di due cose.

  • La prima è quella di stabilire un corretto rapporto di ruolo tra consulente e imprenditore; l’imprenditore fa l’imprenditore, e il consulente non può sostituirsi a chi sviluppa il budget dei ricavi. Semmai, il consulente prenderà i dati forniti dall’imprenditore e li trasformerà in documenti più tecnici, a maggior valore, che si chiameranno conti economici, stati patrimoniali, flussi di cassa e indici di bilancio del caso previsionale.
  • La seconda è quella di avere una procedura codificata e strutturata, al fine di dare all’imprenditore un modello semplice, efficace e flessibile, per metterlo in grado, con una minima opportuna attività di consulenza iniziale, di sviluppare autonomamente il proprio budget, agganciabile – questo è cruciale – in automatico ai propri modelli più complessi e strutturati.

Alla fine, questi consigli operativi e metodologici hanno due grandi risultati positivi:

  1. Coinvolgere l’imprenditore nella realizzazione di un business plan, con il grande vantaggio di redigere un piano sviluppato direttamente da chi ne sia poi l’attuatore, sulla base di value driver da egli stesso prodotti
  2. Consentire al consulente di minimizzare i tempi di sviluppo del lavoro, mediante una standardizzazione che parta dai value driver ricevuti dall’imprenditore su modelli da egli stesso forniti, al fine di redigere con maggiore efficacia ed efficienza il business plan completo

La collaborazione tra i due attori, commercialista e imprenditore, è la chiave per redigere il business plan di successo, parte essenziale di un progetto di impresa, soprattutto nel caso di start up.

Da ultimo, vi è un terzo elemento – non trascurabile – positivo nel seguire questi consigli. La banca, quando si sentirà esporre il caso, percepirà come assolutamente differente il lavoro sviluppato direttamente dall’imprenditore, quanto meno nei value driver. Non si dimentichi che è lui, che sarà chiamato a rispondere, di fronte ai terzi, della dinamica d’impresa.

Passare un po’ di tempo davanti a un simulatore d’azienda non è quindi un gioco (io ne ho realizzato uno professionale che mostro ai miei allievi al corso MasterBANK), quando in gioco sono poi, nella vita, valori reali, soldi e proprietà.

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