I primi 3 consigli che un Commercialista deve dare ad un cliente prima che vada in banca
Quando un Commercialista è davanti ad un cliente, è come un pilota di un aereo quando decide di decide di decollare: non può improvvisare. Per un pilota ci sono delle precise e codificate procedure di sicurezza, che prevedono ad esempio che si controllino i motori, la posizione dei flaps, che la pista sia sgombra, e via dicendo.
L’altro giorno parlavo con un’impresa nell’ufficio di un Commercialista.
Azienda familiare lombarda, settore manifatturiero, circa trent’anni di storia, alcuni milioni di fatturato, di cui circa la metà di fatturato estero. Mi presentano tre persone: padre (storico fondatore), figlio (amministratore e responsabile commerciale) e moglie del figlio (responsabile dell’amministrazione).
Insomma, la classica piccola impresa familiare italiana, con i tipici problemi di passaggio generazionale.
Mi rappresentano i problemi di oggi a parlare con le banche.
Non ci sono (a detta del padre) più le banche di una volta, non basta più la stretta di mano.
Oggi le banche chiedono garanzie, le decisioni sono centralizzate, ci sono state fusioni bancarie e per di più i “vecchi” interlocutori sono stati spostati in altra sede.
Il figlio mi rappresenta invece la preoccupazione di non riuscire a sostenere la presenza dell’impresa sul mercato, mentre la moglie mi evidenzia palesi paure sulle scadenze future, in ordine alla liquidità.
Insomma, cose a me ben note e che non destano alcuna sorpresa.
Maggiore sorpresa – ma non troppa, per la verità – destano le risposte alle mie tre categorie di classiche domande, volta a verificare la check list del mio metodo.
Mentre queste persone sono preoccupate del futuro, le risposte sono semplicemente disarmanti in ordine alla preparazione per affrontarlo. Ciascuno di loro considera i soldi come un dettaglio, uno strumento necessario ai loro fini, ma non hanno la percezione del fatto che la finanza, in una azienda, non è un cassetto dal quale attingere soldi ai fini dell’impresa, ma il fine per cui si fa impresa.
Lo so, è dura, detta così, quindi la ripeto.
Per una impresa i soldi non sono un mezzo,
ma il fine.
Il linguaggio della banca
So benissimo che ora si scateneranno i moralisti su Facebook a scrivere di altre faccende, a darci lezione di morale e filosofia.
Dammi retta: vuoi aver soldi da una banca?
Allora, sarà meglio che impari in fretta il linguaggio per una banca.
Una banca vuole capire che ti sia ben chiaro che il fine per il quale un imprenditore opera, è creare ricchezza.
La ragione è che la banca corre un rischio e sarà disposta a correrlo solo se saprà, con ragionevole previsione (a questo serve una analisi di rating) che l’imprenditore, creando ricchezza, sarà in grado di aumentare la sua ricchezza. Se questa cosa ti sconvolge o turba i tuoi principi morali, o non sei un professionista, oppure guardati le lezioni di finanza in cui spiego tecnicamente questo concetto (il fine di un imprenditore è creare ricchezza).
Ora, in Italia siamo tutti allenatori della nazionale di calcio, e tutti ritengono utile esprimere in pubblico le loro opinioni. Le opinioni sono irrilevanti in campo tecnico. La finanza aziendale, e il campo di tale disciplina nota come Finanziamenti d’Azienda, è un campo tecnico ben circoscritto.
Se io voglio imparare a sciare, non ascolto il parere del barista o dell’edicolante (con tutto il rispetto per tali professioni), ma mi conviene ascoltare quello di un maestro di sci.
Così io ho fatto, a suo tempo, quando volevo specializzarmi nella disciplina dei finanziamenti d’azienda.
Ho fatto l’unica cosa che a un adulto non piace fare: mi sono rimesso a studiare. Ho studiato anni, seguito docenti in Università, passato le mie estati in montagna chiuso in una stanza d’albergo sui libri, passato le mie serate al termine delle giornate lavorative su dispense, investito ogni anno migliaia di euro in formazione specialistica, seguito Scuole di Finanza in diverse città d’Italia, ascoltato i migliori maestri in convegni e corsi, e ho messo sempre in pratica, nella mia professione, ciò che apprendevo.
Dopo vent’anni in cui lavoro con le imprese, dopo aver fatto finanziare progetti di ogni settore e dimensione, dopo aver insegnato a mia volta come professore a contratto la materia dei Finanziamenti d’Azienda in Università per dieci anni, dopo aver coperto la carica di presidenza di un Confidi pubblico e aver fatto formazione in banca, confidi e associazioni d’impresa, e soprattutto dopo aver intervistato per tanti anni uomini e donne di banca e aver appreso da loro, oggi dopo tanta esperienza ti dico la mia.
Ti consiglio come lo faccio con quegli imprenditori dell’altro giorno, e come loro sei libero di ascoltarmi o meno, restando fermo sulle tue convinzioni.
Non si va nemmeno in banca, se non hai fatto queste 3 cose
Te le spiego riassumendoti il colloquio con quella impresa, perché è emblematico.
Per prima cosa io chiedo quale sia il fine della somma che serve.
Di solito, la gente fornisce risposte generiche sulla carenza di liquidità. Peggio ancora, in quel caso mi viene fornita una risposta che riguarda necessità derivanti da pregressi errori aziendali. Io ragiono come una banca. Le motivazioni possibili riguardano, parlando di credito, sono solo due possibili espansioni dell’attivo, cioè del bisogno dell’impresa:
-
O si tratta di fondi destinati al capitale circolante, oppure
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si tratta di fondi destinati al capitale immobilizzato.
In termini semplici, e senza usare l’inglese, o stiamo andando in banca per l’area della gestione corrente (crediti, magazzino, debiti, tasse, ecc.) oppure stiamo andando in banca per la gestione degli investimenti (capannoni, macchinari, software, licenze, ecc).
Molto spesso, tuttavia, sono presenti entrambe le cose.
Viene fuori, dopo una approfondita intervista, che l’impresa aveva infatti entrambe le esigenze.
Come sono state male rappresentate a me, così lo sarebbero state a una banca. Quindi, non era chiara la visione e la missione dell’impresa.
Come seconda cosa, chiedo come siano i rapporti con le banche.
Mi si risponde in modo evasivo, fornendo generiche indicazioni di normalità di rapporto. Non un documento, e soprattutto non vedo la Centrale dei Rischi. Scusate, ma l’avete chiesta? – chiedo.
Mi guardano come se facessi una richiesta invadente.
Spiego loro, come lo spiego a voi, che sapere lo stato preciso e documentato dei vostri rapporti sul sistema è un secondo controllo da fare, assolutamente opportuno e necessario, prima di andare in banca.
Come terza cosa, io chiedo quali siano i risultati storici e se l’impresa abbia un’analisi di tali risultati.
Mi si risponde da parte del commercialista fornendo il bilancio. Benissimo – osservo io – ma è stata fatta una analisi finanziaria?
Per analisi finanziaria intendo una analisi dei precisi rapporti necessari a saper prevedere, con ragionevole approssimazione, quale possa essere il giudizio di una banca sul nostro passato (unitamente alla lettura della Centrale Rischi). Anche qui, in Italia siamo tutti allenatori della nazionale di calcio, ma se uno pensa, ad esempio, che l’equilibrio economico sia avere utile (cioe’ che i ricavi siano maggiori dei costi), o che l’equilibrio patrimoniale sia aver tanto patrimonio, siamo proprio privi di competenze.
Il risultato, presentandosi in banca in modo così approssimativo, non può che essere – a parità di altre condizioni – o il fallimento, o la richiesta di condizioni (su tassi, collaterali e soprattutto condizioni come le garanzie) inaccettabili o sconvenienti.
Preciso che l’inciso “a parità di altre condizioni” non è secondario. Lo so anch’io che un’ottima impresa, con ottimi mandamentali e ottimi bilanci non ha alcun problema in banca, ma voi mi sapete trovare oggi, in Italia, un’impresa in quelle condizioni?
In ogni caso non era quella piccola impresa di cui sto parlando, con contrazione di fatturato sull’ultimo esercizio, e una richiesta finanziaria non marginale, in termini relativi.
Ci sono due approcci possibili.
Il primo è quello di molte persone, che fanno quello che ho scritto sopra.
Come si vede, questo è un ragionamento di tipo circolare, di rafforzamento di proprie convinzioni errate.
Per esempio, io parto dal presupposto che tutte le banche chiedono solo le garanzie. Allora, non mi documento, non approfondisco la materia.
Agendo in modo improvvisato, faccio il “giro delle 7 chiese”, senza un metodo. Come risultato, mi chiedono magari proprio le garanzie, e da un insuccesso io traggo la conclusione che la mia convinzione iniziale fosse fondata, e continuo il giro delle banche con tale approccio.
Bastano a una persona poche esperienze negative per trarre conclusioni generali e di sistema (“tutte le banche vogliono solo garanzie”).
Quella persona sarà quella che andrà su Facebook a scrivere “tanto alle banche interessano solo le garanzie” e condizionerà con il proprio insuccesso quello di altri.
Il secondo approccio è quello delle persone che ascoltano.
Quando io ascolto, pongo spesso in dubbio le mie stesse convinzioni.
Questo è un processo non facile, perché mi fa uscire da quella che gli esperti di leadership chiamano “zona di confort”. Significa mettere in discussione noi stessi, e spesso è un passaggio chiave dell’apprendimento.
Naturalmente, si basa sul presupposto che siamo disposti ad ascoltare il parere di qualcuno che, presumibilmente, su una determinata questione tecnica ne sappia più di noi.
Se sei un Commercialista è opportuno che tu spieghi bene questi concetti ai tuoi clienti, in modo che crescano culturalmente e ti permettano di fare consulenze di valore che consentiranno all’azienda una vita felice, piena di liquidità.
Tutti gli imprenditori e i consulenti che ho seguito nella mia vita hanno sempre adottato il metodo, ormai per me naturale, che ho sommariamente descritto in questo articolo.
Con le banche, a parità – lo ripeto – di altre condizioni, il presentarsi dopo aver effettuato un controllo su queste tre aree migliora il rapporto.
Non è un lavoro semplice e nemmeno leggero, poiché richiede anche la predisposizione di documenti scritti (nel corso MasterBANK io fornisco tutti gli strumenti professionali pronti all’uso per fare consulenza di finanza d’impresa alle aziende).
Oggi non si va più in banca a parlare, improvvisando, con il bilancio, il camerale e la brochure (o meglio, se vai ancora così, tanti auguri). Si va con un metodo, avendo verificato precise condizioni di accesso, e avendo messo per iscritto precisi contenuti di valore informativo.
Tale metodo, applicato con rigore a una impresa, migliora gradualmente nel tempo il giudizio di rating poiché incide sulle tre aree delle gestione aziendale prese in esame dalla banca, come raccomandato dalla migliore dottrina, dalla disciplina dei Finanziamenti d’Azienda, dai maggiori esperti in materia e dall’ABI (Associazione Bancaria Italiana).